MOVIMENTO SOCIALE
La parola movimento è di uso comune e può assumere diverse forme. Un movimento collettivo prende vita quando nasce un nuovo “noi”. Per comprendere meglio i movimenti sociali occorre dare una definizione di gruppo sociale: esso è un insieme di persone fra loro in interazione con continuità secondo schemi relativamente stabili, le quali si definiscono membri del gruppo e sono definite come tali da altri. Un comportamento collettivo si ha quando tante persone si trovano contemporaneamente sottoposte ad uno stesso stimolo a cui reagiscono in maniera simile, ne sono esempi: la folla, il panico e il movimento sociale. Gli studiosi europei a fine '800, analizzano la “folla” che rientra nei comportamenti collettivi attribuendo ad essa connotazioni negative; Le bon scrive che essa contagia ciascun individuo rendendolo suggestionabile dell’agire degli altri in un circolo vizioso di reciproca esaltazione in cui è facile che tutti ci si consegni in cieca sottomissione a leaders fanatici. Essa è frutto di pulsioni irrazionali la cui radicalità va contrastata in nome del ripristino delle condizioni di stabilità e razionalità del sistema sociale. In risposta, in America, nella prima metà del '900, la scuola di Chicago conia il termine “comportamento collettivo” dando a questo termine dignità di comportamento né patologico né irrazionale, ma piuttosto configurandolo come una forma di azione collettiva creativa. All’interno delle forme di partecipazione non convenzionale è possibile distinguere secondo Alberoni: - fenomeni collettivi di aggregato in cui una molteplicità di persone si comporta allo stesso modo ma ogni individuo pur comportandosi in modo uguale agli altri, agisce in realtà per sé solo (es. moda, panico, boom speculativo); - fenomeni collettivi di gruppo in cui rientra a pieno il movimento sociale, qui il processo collettivo che si genera produce una modificazione dell’interazione dei soggetti che ne fanno parte e della loro solidarietà. Ciascuno mette in discussione l’entroterra culturale e sociale in cui si trovava prima. È l’esperienza dello “Stato nascente” cioè una modalità specifica della trasformazione sociale.
E' possibile definire i movimenti collettivi come forme di solidarietà innovative, fluide nella forma, indirizzate a mutare le forme di relazione preesistenti fra i membri interni, che si scontrano con l’apparato istituzionale esistente al fine di modificarlo sostituendone i valori fondativi con quelli sperimentati all’interno del gruppo.
Melucci dice che un movimento sociale si ha quando vi è un conflitto sociale e una rottura dei limiti di compatibilità del sistema. Vi sono tre sistemi fondamentali di riferimento dell’azione collettiva: il modo di produzione, il sistema politico, l’organizzazione sociale. A seconda del sistema entro cui si collocano conflitto e rottura delle regole avremo tre tipi di movimenti sociali: antagonisti, politici, rivendicativi. Negli ultimi l’attore collettivo rivendica una diversa distribuzione delle risorse all’interno dell’organizzazione, lotta per un più efficiente funzionamento dell’apparato, ma si scontra col potere che impone le regole e le forme di divisione del lavoro. Un movimento politico lotta per l’allargamento della partecipazione alle decisioni e si batte contro lo squilibrio del gioco politico che avvantaggia sempre certi interessi su altri. Un movimento antagonista è portatore di un conflitto che investe il modo di produzione delle risorse di una società e mette in questione gli obiettivi della produzione sociale e la direzione dello sviluppo. È la categoria più astratta dato che nessun movimento potrà mai essere solo antagonista. Situato in una società concreta, un movimento passa attraverso i sistemi organizzativi e le forme di rappresentanza e di decisione politica.
Al nascere di un movimento corrisponde un contromovimento, l’apparire di uno stato nascente costringe le istituzioni stesse a diventare movimento, a trasformarsi, a diventare indipendentemente dall’esito del conflitto con il movimento, qualcosa di diverso da ciò che erano prima.
Il movimento è una controsocietà che ha qualcosa in comune e qualcosa che la differenzia dalla società che vuole trasformare. L’accomuna il bisogno di darsi un’organizzazione, la differenzia l’arco temporale dell’esperienza. L’esperienza di movimento è un’esperienza fluida e transitoria destinata a concludersi quando ciò che era movimento diventa un sistema organizzativo con regole, gerarchie e ruoli. Gli esiti del conflitto tra movimento e istituzione sono di quattro tipi: o si dissolve in una fiammata illusoria, o viene represso nel sangue, o si istituzionalizza, o si estingue. La forma più complessa e duratura in cui si possono istituzionalizzare i movimenti è quella del partito politico.
I militanti dei movimenti sociali non sono i marginali, gli sradicati, gli esclusi. Coloro che entrano in processo di mobilitazione vi immettono un’identità collettiva che proviene da precedenti reti di appartenenza. Quelli che si ribellano per primi sono coloro che sperimentano una contraddizione intollerabile tra un’identità collettiva esistente e i nuovi rapporti sociali imposti dal mutamento.
Catanzaro individua le principali cause della flebilità dell’azione collettiva nel meridione in quelle che egli definisce collocazioni ambigue di classe. La diffusione di soggetti che occupano contemporaneamente più posizioni lavorative genera un conflitto di interessi fra i diversi ruoli lavorativi svolti e la difficoltà a definire il proprio interesse prevalente. Ciò ostacola il sorgere di aree di formazioni solidaristiche tendenti all’azione collettiva.
L’emergere di nuovi soggetti nel corso degli ultimi decenni ha portato alcuni studiosi a parlare di nuovi movimenti sociali. Vi è un’accresciuta domanda di partecipazione, di decisione, d’autonomia. Parallelamente si assiste alla formazione di nuovi stili di vita in riferimento alla qualità della vita, ai consumi, ai nuovi bisogni identitari. Il tutto senza alcun richiamo alla centralità dei partiti e dei sindacati. Nei vecchi movimenti la spinta era verso il riconoscimento di condizioni che portassero alla valorizzazione dell’ineguaglianza. Nei nuovi l’accento è posto sul riconoscimento e la valorizzazione del diritto a esistere delle differenze.
giovedì 27 novembre 2008
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1 commento:
Alla fine del testo c'è un errore: non è ineguaglianza ma eguaglianza
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