mercoledì 26 novembre 2008




Breve analisi della legge 133/08 e del d.l. 180/08

Il Collettivo di Scienze Politiche è un soggetto politico che ha preso forma dopo l’Assemblea di Ateneo del 28 Ottobre con l’obiettivo di opporre una protesta forte, libera e spontanea ai provvedimenti governativi messi i atto dai Ministri Tremonti e Gelmini in quanto costituiscono un attacco chiaro e deliberato al sistema dell’istruzione e dell’università pubblica. La nascita del collettivo trova un suo momento significativo nell’occupazione della aula G4, uno spazio conquistato all’interno dell’università con il proposito di sviluppare un’analisi e una riflessione sui contenuti e sugli effetti di questi provvedimenti.
L’immediata abrogazione delle leggi 133/08 e 169/08, e il ritiro del dl 180/08, del disegno di legge n. 953 presentato dall’on. Aprea e dei progetti di contro-riforma organica dell'Università preannunciati ("Linee guida del Governo per l'Università") dal ministro Gelmini rappresentano solo l’inizio della lotta che il Collettivo si propone di portare avanti. Noi studenti partiamo da una condizione comune che è quella di aver subito per anni riforme che applicando una logica aziendalistica di costi/benefici all’università, testimoniata anche da un linguaggio che monetizza il sapere (debito/credito), hanno fatto scivolare l’università in una condizione di miseria culturale. È questo vissuto comune che ci permette di affermare con chiarezza che in anni di riforme non c’è stato un governo “amico” e che ci pone nella prospettiva di volere costruire un percorso autonomo il cui punto di partenza e di arrivo è costituito dalla Nostra idea di università.
La nostra idea di Università possibile muove dal confronto costante tra studenti, ricercatori e docenti, attraverso la valorizzazione di metodi orizzontali di costruzione e trasmissione dei contenuti didattici. Conduce alla produzione di Sapere aperto, critico e interdisciplinare tramite la diffusione di attività seminariali e culturali autogestite con la finalità di sviluppare più livelli di analisi e interpretazione in ambito accademico. Permette una riappropriazione dei tempi e dei modi della Conoscenza costruiti a partire dalle esigenze intellettuali, etiche e materiali dei soggetti che vivono l'Università.
La nostra è la lotta di chi vuole difendere e ampliare il carattere pubblico, di massa e di qualità della Scuola, dell'Università e della Ricerca. Per questo il Collettivo si contrappone a qualsiasi ipotesi di introduzione di interessi privati (NO assoluto alle FONDAZIONI) all'interno delle suddette Istituzioni e pretende che il diritto allo studio diventi sostanziale e da tutti esigibile. Con la finalità di portare avanti, concretamente, le proprie parole d'ordine il Collettivo si propone di delineare di volta in volta le diverse e più consone pratiche non-violente di mobilitazione da adottare: dai cortei alle occupazioni, da azioni dimostrative alle più svariate espressioni artistiche, dalla didattica aperta e autogestita alla produzione di volantini, documenti e giornalini.




Come è stata introdotta la legge 133/08?
La legge 133/2008 è la legge di conversione del decreto legge 112/08 approvato dal governo (in soli 9 minuti!) il 25 giugno 2008 e concernente “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” 1. Il primo punto su cui vogliamo soffermarci è l’iter legislativo utilizzato per introdurre queste disposizioni nel nostro ordinamento: il decreto legge. Esso, ai sensi dell'art. 77 della Costituzione, è un atto normativo avente forza di legge, adottato in casi straordinari (assoluta imprevedibilità delle circostanze) di necessità (è indispensabile provvedere subito) ed urgenza (non è possibile procedere con il normale procedimento legislativo) dal Governo. La straordinarietà dello strumento normativo si riconduce alla deroga al principio di rappresentatività, in quanto sottrae al Parlamento, sia pure per un periodo di tempo limitato (60 gg.), l'esercizio della funzione legislativa. Infatti il d.l. entra in vigore immediatamente, il giorno stesso (o il giorno successivo) della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale , ma se non viene convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, decade retroattivamente (ex tunc): è come se non fosse mai esistito. La Corte Costituzionale considera un requisito unico la straordinarietà, la necessità e l'urgenza. La stessa Corte si è recentemente (sentenza 29/1995) dichiarata competente a verificare la sussistenza di detti presupposti, in particolare affermando di poter dichiarare l'incostituzionalità del decreto legge nel caso di evidente mancanza degli stessi. Nel 2007 (sent. 171/2007) la stessa Consulta ha per la prima volta annullato un d.l. per carenza evidente dei presupposti e chiarito che la conversione parlamentare non può salvare il vizio, che incide sulla separazione dei poteri e non esclusivamente sul rapporto politico fra Parlamento e Governo. Crediamo che almeno per la parte che ci riguarda più da vicino, cioè le disposizioni concernenti l’Università e la ricerca, l’intervento del governo non si presenti con i suddetti requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, ma si configuri piuttosto come una vera e propria riforma del sistema universitario, ponendosi di fatto in aperto contrasto con lo spirito e la lettera del dettato costituzionale.
È importante sottolineare che le riforme universitarie non sono mai state discusse ed approvate in Parlamento in quanto tali, ma hanno sempre vissuto all’ombra di altre leggi di più ampio respiro. Basta pensare alla riforma del cosiddetto 3+2, avviata dall’allora ministro Luigi Berlinguer, portata successivamente a termine dal ministro Zecchino, all’interno della legge Bassanini, riguardante la
1 Pensate che calderone immenso in cui sono confluiti gli ambiti di intervento più disparati. Per rendersene conto basta scorrere l’elenco dei capi della legge: Innovazione, Impresa, Energia, Casa e infrastrutture, Istruzione e ricerca, Liberalizzazioni e deregolazione, Semplificazioni, Piano industriale della pubblica amministrazione, Giustizia, Privatizzazioni, Bilancio dello stato, Contenimento della spesa per il pubblico impiego, Patto di stabilità interno, Spesa sanitaria e per invalidità, Misure fiscali perequazione tributaria











pubblica amministrazione nella sua interezza1. In questo caso la “riforma”, che di fatto mira a scardinare il carattere pubblico dell’università, è stata nascosta all’interno di un provvedimento di natura economica, collegato alla legge finanziaria, praticata come binario preferenziale perché su di essa ultimamente si è instaurata la prassi della fiducia da parte del governo e inoltre i tempi di approvazione sono contingentati, dal momento che, se il bilancio dello stato non viene deliberato entro il 31 dicembre, si incorre nel cosiddetto esercizio provvisorio.
I provvedimenti sull’Università
La legge 133/08 è composta da 85 articoli, che affrontano i più svariati argomenti. Gli articoli che colpiscono maggiormente l'Università sono due: il 16 ed il 66.
L’art. 66 è composto da 14 commi che trattano della programmazione triennale del fabbisogno di personale di varie amministrazioni ed enti pubblici, prevedendo una serie di misure di razionalizzazione2. Al comma 13 si prevedono sia una riduzione dei docenti ( blocco del turn-over) sia una riduzione drastica del FFO.
Il blocco del turn-over3 limita nei prossimi cinque anni il ricambio di personale dell’università. Ciò avviene attraverso un meccanismo che, nell’ambito della ricerca, consentirà l’ingresso di due soli ricercatori per ogni dieci professori in uscita nel periodo 2009-2011, e un’assunzione ogni due pensionamenti fino al 2012. Questo provvedimento non fa che rafforzare un sistema già fondato sulla disparità nei rapporti di lavoro, da una parte l’iper-tutela dei professori ordinari e associati e dall’altra i ricercatori precari, perché blocca l’effettiva mobilità alla base dei percorsi di carriera scientifica. Con questo blocco di assunzioni si crea una vera e propria lotta alla sopravvivenza per chi aspira a diventare personale strutturato: paradossalmente solo coloro che lavorano con i Docenti che hanno maggiore potere all’interno di una data Facoltà riusciranno ad essere assunti a tempo indeterminato, quindi solo coloro che rientrano maggiormente nel sistema “baronale” delle Università riusciranno ad essere assunti. Inoltre la riduzione delle assunzioni implicherebbe un’ulteriore ricollocazione delle mansioni didattiche dal personale docente a quello di ricerca,
1 Berlinguer insediò la commissione Martinotti che propose misure concrete per una nuova autonomia degli atenei e per risolvere il problema, sempre più pressante, dell’abbandono degli studi universitari. Le proposte della commissione, che già prevedevano il sistema di crediti, un anno di studi comune per ogni area ed un traguardo intermedio all’intero ciclo di studi, vengono vagliate e fissate nel 1998 dalla Dichiarazione della Sorbona, firmata dai ministri dell’istruzione di Inghilterra, Francia, Italia e Germania ed estesa successivamente a tutta l’Europa previa la Dichiarazione di Bologna che impegna i firmatari ad attuare riforme secondo il progetto comune di un ciclo di studi di primo livello da completare eventualmente con un secondo ciclo: comincia così l’era del 3+2
2 In questo caso il termine “razionalizzazione” si traduce nella limitazione e nella riduzione delle assunzioni di personale, sia a tempo determinato (nuove assunzioni dovute a corrispondenti cessazioni) che indeterminato (stabilizzazioni dei lavoratori precari)
3 Il turn over non è altro che la relazione tra pensionamenti e nuove assunzioni e affinché il numero di lavoratori rimanga costante, questo rapporto dovrebbe essere di uno ad uno








impedendo ai docenti rimasti di dedicarsi in modo adeguato sia alla ricerca che alla didattica e portando dunque ad un netto peggioramento di entrambe.
Il fondo per il finanziamento ordinario delle università e' ridotto “di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190 milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013”.
Taglio dei finanziamenti pubblici all’università (FFO)
Anno
Programma dei tagli al FFO
in milioni di €
2009
63,5
2010
190
2011
316
2012
417
2013
455
Totale tagli
1441,5 M€
pari al 19,7% FFO 2008
A questi tagli vanno sommati quelli previsti dal dl n. 93/08 (“Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie”). All’articolo 5 del presente decreto sono elencati tutti i tagli necessari a fornire copertura alla manovra. In particolare il comma 7, lettera d) prevede un taglio lineare a decorrere dall’anno 2010 del 6,78% degli “stanziamenti di parte corrente relativi alle autorizzazioni di spesa come determinate dalla tabella C della legge 24 dicembre 2007, n. 244”. Si tratta della tabella allegata alla Legge Finanziaria, e comprende alcuni capitoli di spesa dedicati all’università e al Diritto allo Studio. In particolare subiranno una riduzione i fondi stanziati per il 2010 relativamente a:
norme sul diritto agli studi universitari (legge 390/91) (erano previsti 143.552.000€)
interventi per alloggi e residenze universitarie (erano previsti 31.977.000€)
potenziamento dell’attività sportiva universitaria (erano previsti 11.237.000€)
università non statali legalmente riconosciute (erano previsti 129.880.000€): è un taglio che ci sta bene!
spese per il funzionamento delle università (erano previsti 6.888.231.000€)









norme sul piano triennale di sviluppo dell’università e per l’attuazione del piano quadriennale 1986-1990 (erano previsti 93.729.000€)
Sempre l’articolo 5 va a toccare quanto previsto dal cosiddetto “Decreto mille-proroghe” (convertito dalla legge 28 febbraio 2008, numero 31) del Governo Prodi, che all’art. 13-bis aveva previsto un incremento del fondo di funzionamento ordinario delle Università di 16 milioni di euro annui a partire dal 2008. Il decreto legge in questione prevede una riduzione di tale cifra a 9 milioni per il 2009 e a 9 milioni per il 2010.
Ci preme sottolineare che tutti i provvedimenti che riguardano la scuola e l’università, avviati negli ultimi mesi da parte del governo, partono dal presupposto, ripetuto incessantemente, di una necessario quanto inevitabile taglio della spesa pubblica relativa a entrambe. Presupposto divenuto assiomatico per quanti – di solito proprio professori universitari– continuano ad affermare che in Italia si spende troppo per l'università1. Basta fare riferimento ai dati forniti dallo studio “Education at a Glance” pubblicato dall’OCSE nel settembre 20082 per confutare questa tesi. Ecco alcuni dati, riferiti all'Italia e ad alcuni altri paesi, relativi all'anno 2005:
Innanzitutto se consideriamo che la quota media del PIL destinata all’istruzione nei paesi dell’OCSE è del 5,4 % e che, gli stessi paesi che vengono ostentati dal governo come esempi di eccellenza, spendono ancora di più, sembra assolutamente fuori luogo ritenere che l’Italia spenda troppo. Inoltre con il protocollo di Barcellona 2002 si è avviata una strategia internazionale, adottata anche dall’Italia, che indica una percentuale del Prodotto Interno Lordo (PIL) dedicata a Ricerca e Sviluppo del 3% entro il 2010. Noi siamo sotto l’1% (in discesa), mentre i paesi OCSE e l’Europa a 27 spendono il 2.2 e l’1,7% rispettivamente. Nessuno dei paesi del G7 spende meno dell’1,8%.
Se si misura la spesa totale per la formazione universitaria rispetto al PIL3, cioè alla ricchezza nazionale, si vede che il nostro Paese occupa l'ultimo posto (insieme alla Repubblica Slovacca) con un misero 0,9% a fronte di un valore medio dell'1,3% nei 19
1 Come esempio potremmo citare l’articolo del Riformista scritto da Luca Tedesco (ricercatore in storia contemporanea Università di Roma Tre) il 30 Ottobre 2008 dal titolo ”Abbiamo gli universitari più finanziati del mondo” che - come di moda di questi tempi- usava come fonte di analisi i dati di Perotti. Secondo Perotti i dati contenuti nella Pubblicazione Education at a Glance dell’Ocse, non terrebbero conto degli studenti fuori corso e che, se si tiene conto della presenza degli studenti “equivalenti a tempo pieno” la spesa italiana risulta la più alta del mondo dopo Usa, Svizzera e Svezia. L’articolo ha aperto un’ampia polemica tesa a confutare la tesi proposta dallo storico romano, cioè quella di un sistema universitario eccessivamente finanziato in Italia. Tra tutte risalta la risposta di Alessandro Figà Talamanca (Professore ordinario di Analisi Matematica nell'Università "La Sapienza" di Roma) secondo il quale “i dati OCSE 2008 si riferiscono a studenti “equivalenti a tempo pieno” e tengono conto del ritardo negli studi come indicato nella tabella B1.1a e come spiegato dalla nota tecnica allegata, dove si fa esplicito riferimento al caso dell’Italia” (alleghiamo la nota in questione a riprova della sostenibilità della tesi).
2 Scaricabile sito www.oecd.org
3 Education at a Glance 2008, tabella B2.1, pag 237






aesi europei dell'OCSE sino al valore massimo dell'1,7% di Danimarca e Finlandia. A questi si aggiungono i valori irraggiungibili di Corea (2,4%), Canada (2,6%) e USA (2,9%).
Se si considera la quota dell'intera spesa pubblica nazionale che è destinata all'università1, anche in questo caso l'Italia occupa da sola l'ultima posizione con l'1,6% quando tutti gli altri Paesi europei vantano percentuali superiori al 2% fino addirittura al 4,5% della Danimarca, con una media europea del 2,8%.
Si potrebbe allora supporre che sia alta la spesa italiana per l'università in rapporto al numero degli studenti2. Nemmeno questo è vero. Facendo una classifica in dollari (equivalenti) annui spesi per studente, l'Italia con 8.026 dollari occupa in Europa il tredicesimo posto su diciotto. C'è da notare che il dodicesimo posto è occupato dal Portogallo con 8.787 dollari ma che gli altri undici Paesi sono tutti sopra i 10.000 dollari fino al massimo di 15.946 dollari della Svezia, con una media di 10.474 dollari.
All’art. 16 della legge 133 si fornisce la possibilità agli Atenei di trasformarsi in Fondazioni di diritto privato3. Da un punto di vista giuridico l’operazione in oggetto richiamerebbe l’istituto della trasformazione di cui agli artt. 2498 e ss. del codice civile che consiste nel cambiamento della forma giuridica del soggetto che assume una nuova forma legale e si assoggetta alle disposizioni corrispondenti alla sua mutata struttura giuridica: in questo caso l’ente passa appunto da struttura pubblica a fondazione di diritto privato, nella continuità dei rapporti giuridici attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell’Università (comma 2). Invero, la legge n. 388 del 2000 e il d.P.R. n. 254/01 prevedono la possibilità per le Università di creare Fondazioni, intese in questo caso come strutture operative al servizio degli Atenei per lo svolgimento delle attività strumentali e di supporto alla didattica e alla ricerca e all’acquisizione di beni e servizi funzionali all’attività istituzionale degli atenei. Questo significa che, mentre nella precedente disciplina il legislatore aveva inteso offrire uno strumento “accessorio” alle università, l’attuale proposta prevede la possibile trasformazione degli atenei italiani da pubblici a privati. Il comma 6 rimette tutte le decisioni al Senato Accademico che, contestualmente alla delibera di trasformazione, adotta lo statuto e i regolamenti di amministrazione e di contabilità. Esso potrà così delineare composizione e funzione degli organi universitari senza essere vincolato a criteri di democraticità e di rappresentatività. A nostro avviso bisogna svolgere almeno due considerazioni in merito a questo “principio
1 Education at a Glance 2008, tabella B4.1, pag 256
2 Education at a Glance 2008, tabella B1.1a , pag 218
3 La Fondazione è "un ente privato senza finalità di lucro", che ha a disposizione un patrimonio da destinare a determinati scopi. La fondazione è costituita da un fondatore, ma anche da più persone congiuntamente o da più persone giuridiche. Come ogni organizzazione anche la fondazione deve dotarsi di uno statuto, ovvero, un insieme di norme che ne regolino l'attività nel rispetto della disciplina fissata dalla legge (codice civile: artt. 14-35 ed eventuali leggi speciali).








sovvertitore” dell’ordinamento universitario. Innanzitutto la mera possibilità di trasformazione delle Università Pubbliche in Fondazioni di diritto privato è di fatto un'eventualità molto concreta proprio in ragione del forte ridimensionamento del fondo di finanziamento ordinario che la stessa legge prevede. In secondo luogo la legge risulta fortemente in contrasto con lo spirito nonché con alcuni principi cardine della Costituzione. L’articolo 16 si apre con un inciso:
“In attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, nel rispetto delle leggi vigenti e dell'autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. [...]
Quindi il provvedimento sarebbe previsto in applicazione dell'articolo 33 della Costituzione. Ma in quell'articolo la Costituzione afferma il contrario: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». In questo caso siamo di fronte, più che alla costituzione di un istituto di educazione privato, alla trasformazione di un ente pubblico in ente privato, con notevoli oneri per lo Stato. Infatti, come già accennato, nei commi 2 e 3 della legge 133 si stabilisce che le università fondazione «subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell'Università» e ereditano tutti i beni immobili senza pagare né imposte né tasse in tutti questi passaggi. Quindi tutto il patrimonio immobiliare dell’Università che deciderà di trasformarsi in Fondazione non sarà più pubblico, ma della fondazione stessa. Ai commi 7 e 8 dell’art. 16 si afferma che le fondazioni universitarie adottano un regolamento di Ateneo per l'amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, fermo restando il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. Nei fatti la legge assicura alla nuova fondazione privata la piena libertà di maneggiare i propri fondi e la propria finanza, anche in deroga alle norme contabili dello Stato. Questo potrà significare un aumento delle tasse universitarie, attualmente limitate da un tetto del 20% del totale dei fondi universitari. E' chiaro che il privato che si impegna nella costituzione di una fondazione universitaria si pone obiettivi di lucro e non potendolo fare direttamente accaparrandosi gli utili, probabilmente lo farà gestendo ordini, appalti e assunzioni. Se a questo si aggiunge il rischio che la ricerca possa essere veicolata e influenzata nei suoi obiettivi e nei suoi metodi dagli interessi e dalle finalità del finanziatore privato, si pone in pericolo sia la libertà nell’insegnamento (c.d. autonomia didattica) sia la libertà dell’insegnamento con riferimento all’ambito organizzativo e strutturale.







Il decreto legge 180 /08: cosa cambia?
Il 6 novembre è stato approvato il decreto legge 180/08 dal titolo “Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca". Da più parti, seppur è difficile stabilire se per pura ingenuità o se per vera e propria malafede, il dl 180 è stato accolto come un documento di significativa apertura del Governo dopo i quattro mesi di agitazione delle università contro i tagli previsti dalla Legge 133. A nostro avviso il decreto non modifica nella sostanza la legge 133 né per quanto riguarda i tagli né rispetto la possibilità di trasformazione delle Università in Fondazioni di diritto privato (disposizione che rimane immacolata e nociva quanto prima, non facendosene cenno alcuno). Per quanto riguarda i tagli all’Università, rimangono inalterati tanto quelli previsti dalla manovra finanziaria quanto quelli contenuti nel ddl di bilancio per il 2009 dove le spese destinate al programma sistema universitario e formazione post-universitaria scendono "verticalmente da poco più di 8mila milioni di euro a 6.496,5 milioni nel 2011, cioè meno 1.645,5 milioni di euro"1. Rispetto alle Fondazioni il decreto non elimina la possibilità da parte degli atenei di trasformarsi in fondazioni private.
La riprova che il dl 180 peggiora in realtà quanto previsto dalla legge 133 sta nello stesso innalzamento al 50% della soglia di personale reclutabile in rapporto ai pensionamenti (art 1, comma 3): esso riguarda infatti gli atenei “virtuosi” sul piano contabile, quelli cioè dove le “spese fisse e obbligatorie per il personale di ruolo”2 non superano il 90% del FFO, mentre negli altri la soglia è pari a zero. Il principio generale che è alla base del decreto è quello di una distinzione tra gli atenei-cicala, cioè quelli che spendono più del 90% per le spese di personale di ruolo, e per questo non potranno “procedere all'indizione di procedure concorsuali (no concorsi) e di valutazione comparativa (riguarda i ricercatori), ne' all'assunzione di personale”; non potranno accedere ai fondi straordinari stanziati per il reclutamento straordinario dei ricercatori3; e avranno il blocco del turn-over non più al 20% (come era stato previsto nella legge 133/08) ma allo 0%; dall’altra parte ci sono gli atenei-formica, quelli con i conti in ordine, e per i quali il blocco del turn-over (a quota 20 %) salirà al 50 % e le assunzioni dovranno favorire i ricercatori (sia a tempo indeterminato che determinato). Inoltre dal 2009 il 7% del FFO verrà ripartito in base alle pagelle di criteri che il Ministero si riserva di definire entro il 31 dicembre. Si tratta di 500 milioni che rappresentano ben poco visto il mantenimento dei tagli previsti dalla 133. Ma andiamo ad analizzare nello specifico i punti salienti del decreto:
1 Nicoletta Cottone , Università: ecco tutti gli importi dei tagli ai fondi degli atenei, Il Sole 24 Ore 31 ottobre 2008
2 Art. 51 comma 4 L 449/97 a cui rimanda il dl 180
3 Questo fondo prevede 40 milioni per il 2008 e 80 milioni per il 2009. Finora ha assegnato questo denaro con una commissione composta da esperti stranieri che ha valutato seriamente i ricercatori che hanno partecipato al bando, che quest'anno non è ancora stato emanato





Il turn-over (art. 1 comma 1, 2, 3)
Sembrerebbe che nel decreto il blocco del turn-over passi dal 20 al 50%, ma da tale misura sono esclusi tutti gli Atenei che dedicano agli assegni fissi per il personale di ruolo più del 90% del FFO, infatti a questi si vieta di “procedere all'indizione di procedure concorsuali e di valutazione comparativa, ne' all'assunzione di personale” (art 1, comma 1). Visto che, a causa dei tagli all'FFO previsti nella finanziaria 2009 nei prossimi 2-3 anni, la maggior parte degli atenei sforeranno tale limite, è facile prospettare un totale blocco delle assunzioni a tempo indeterminato, nonché il ricorso sempre più urgente e necessario a tipologie contrattuali a tempo determinato (ossia precariato a iosa). Al comma 2 si stabilisce che gli Atenei che hanno sforato il tetto del 90% sono anche esclusi dalla ripartizione dei fondi stanziati per il reclutamento straordinario di ricercatori. Come già detto al comma 3 si stabilisce che nel triennio 2009-2011 le Università “virtuose” possono procedere ogni anno a un'assunzione ogni due cessazioni, anziché a una ogni cinque (mentre le università in cui la spesa per il personale supera il 90% del FFO non possono assumere nessuno!). Sempre allo stesso comma si stabilisce che sul totale della spesa, almeno il 60% deve essere usato per assumere ricercatori e il 10% per assumere professori ordinari. Dunque il principio che distingue un ateneo “cattivo” da uno “buono” è dato dalla percentuale di spesa per il personale: si sceglie di penalizzare un ateneo in base alla percentuale di soldi che esso spende per il personale e, paradossalmente, per questi atenei, il blocco del turn-over non sarà più al 20% (come era stato previsto nella legge 133/08) ma allo 0%.
Norme sul reclutamento (art. 1 comma 4, 5, 6, 7, 8)
A nostro avviso è importante dedicare qualche riflessione alla procedura concorsuale introdotta dal dl 180, soprattutto perché è stata presentata come il passo decisivo verso un’università imparziale, trasparente e che valorizzi il merito, nonché come il colpo di grazia rispetto al potere baronale (la fine di parentopoli e dei concorsi truccati). Partiamo dalla disciplina attuale dei concorsi : in essa gli aspiranti ordinari sono giudicati solo da ordinari, gli associati da associati e ordinari, i ricercatori da ordinari, associati e un ricercatore. La commissione è formata da 5 membri per i concorsi da docente, che sono 3 nei concorsi da ricercatore. Dei membri che compongono le commissioni, uno è designato dall’Università che bandisce il concorso, e gli altri sono eletti dai colleghi della medesima fascia e dello stesso settore disciplinare attraverso una votazione segreta per via telematica. Invece il decreto 180 prevede che le commissioni di concorso, per ogni fascia, siano composte soltanto da professori ordinari, togliendo a associati e ricercatori ogni potere di valutazione. La presenza di un associato è ammessa solo nei concorsi da ricercatore, e solo se è il membro interno. Con tutto questo non si fa altro che annientare il pluralismo decisionale all’interno dell’università e, di fatto il







decreto concentra ancor di più il potere nelle mani degli ordinari che in questo modo rafforzano la posizione di privilegio che i proclami governativi assicuravano di voler abbattere. La nuova procedura mescola l’elezione al sorteggio, infatti i commissari vengono tirati a sorte non dall’intero elettorato, ma da un elenco ristretto (pari al triplo dei posti necessari ) ottenuto mediante una votazione da condursi, presumiamo, col vecchio sistema. Una procedura farraginosa che, come denunciato dall’autorevole rivista scientifica Nature «rischia di produrre effetti nefasti sulla competizione nazionale per selezionare ricercatori e professori che deve iniziare a breve». Il ministro, scrive ancora Nature, «ha introdotto un cambiamento relativamente piccolo nelle procedure delle commissioni che selezionano lo staff. Il risultato però, per niente trascurabile, è che quei concorsi, per 1.800 posti di professore, verranno ritardati almeno di tre mesi. E se vi saranno ricorsi in tribunale, come è possibile, il ritardo potrebbe dilatarsi oltre l'anno»1. Fino al decreto 180 i concorsi per diventare ricercatore comportavano due prove scritte e una orale, più la valutazione dei titoli (mentre per quelli da associato gli scritti sono sostituiti da una prova didattica, e in quelli da ordinario c’è solo il colloquio se il candidato è associato, perché la prova l’ha già sostenuta a suo tempo). Con il decreto la valutazione comparativa per il reclutamento dei ricercatori sarà effettuata “sulla base dei titoli e delle pubblicazioni dei candidati, ivi compresa la tesi di dottorato, utilizzando parametri, riconosciuti anche in ambito internazionale”. Ci sorge spontaneo domandarci se la richiesta agli aspiranti ricercatori di esibire soltanto titoli e pubblicazioni non dia concretamente maggiori possibilità ai concorrenti più anziani, magari già con qualche libro alle spalle. La stessa valutazione dei titoli dovrà attenersi a criteri fissati da un futuro decreto ministeriale non regolamentare, basati su parametri valutativi di tipo internazionale. Quest’ultimi riguardano soprattutto le pubblicazioni e funzionano notoriamente piuttosto bene nei settori scientifici, ma un po’ meno in quelli umanistici.
1 La rivista ha pubblicato un editoriale che analizza il progetto di riforma presentato dalla Gelmini , e chiede al ministro di proseguire sulla strada tracciata dal suo predecessore Fabio Mussi, cioè quella di completare il processo che ha portato alla creazione dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) in modo da “seppellire” il meccanismo dei concorsi per il reclutamento di professori e ricercatori. Per avvalorare la sua tesi la rivista prova a trasferire il sistema italiano proposto da Gelmini a uno degli atenei più prestigiosi del mondo: il Massachusset Institute of Technology) di Cambridge. «Immaginate – si dice nella rivista - se il Mit dovesse interpellare Washington ogni volta che voglia assumere un professore, quindi aspettare che l'amministrazione raccolga abbastanza domande a livello nazionale per decidersi a istituire dei concorsi necessari per permettere agli accademici di tutte le università di eleggere, per le discipline che competono loro, una commissione nazionale per scegliere il candidato. Una commissione dove, per di più, solo un rappresentante del Mit potrebbe sedere». L’esempio fatto da Nature evidenzia l'impossibilità per gli atenei prestigiosi, attraverso il metodo dei concorsi, di poter scegliere in autonomia e responsabilità i docenti.






Premiati i migliori? (art 2)
A tagli invariati, una quota non inferiore al 7% del FFO dell'Università e del Fondo straordinario (predisposto dalla finanziaria 2008 e composto da 550 milioni per il 2008, 550 milioni per il 2009, 550 milioni per il 2010) viene spostata da sedi c.d. poco virtuose a sedi virtuose già a decorrere dal 2009, ciò significa che a partire dal 2010 quando il peso dei tagli si farà realmente sentire chi è già in difficoltà sarà ancora più penalizzato, oltretutto con l’indicazione che tale 7% avrà incrementi progressivi. Quindi la quota non inferiore al 7% verrà elargita ai soli atenei “meritevoli” sulla base della “qualità dell'offerta formativa” e dei “risultati dei processi formativi”, nonché della “qualità della ricerca scientifica” e dulcis in fundo “la qualità, l'efficacia e l'efficienza delle sedi didattiche”. È importante soffermarsi sul fatto che questo 7% non è aggiuntivo: i tagli rimangono tutti, si decide solo di distribuire i fondi tagliati con criteri diversi. Paradossalmente il criterio del “ridimensionamento” avvantaggerà le università che avessero moltiplicato inutilmente l’offerta (creando indiscriminatamente sedi e corsi di laurea) e che sarebbero quindi in grado di tagliare di più, penalizzando, nei fatti, chi ha praticato scelte “virtuose”. È utile mettere in evidenza che “le modalità di ripartizione” saranno definite con altro decreto del MIUR entro il 31 Dicembre e che, nel decidere queste modalità, il Ministero si vincola unicamente a sentire il parere dei vari Comitati di valutazione alla didattica e della ricerca universitaria (CNVSU). Lo schema del CNVSU del 2006 prevedeva che il 30% dell'FFO dipendesse dalla qualità della ricerca1, ma non potrà mai essere applicato perché il governo ha rimandato l'avvio dell'ANVUR (Agenzia di valutazione dell'università e della ricerca), istituita dal precedente governo.



Diritto allo studio (art 3)
In questo articolo vengono stanziati 65 milioni "extra" per il finanziamento di progetti volti alla realizzazione di alloggi e residenze per studenti e si incrementa di 135 milioni di euro il fondo di intervento integrativo previsto all’art 16 della legge 390/91. In realtà l’articolo in questione istituisce un fondo di intervento integrativo per la concessione dei prestiti d'onore da parte di aziende e istituti di credito agli studenti idonei a riceverli e “può essere destinato anche alle erogazioni di borse di studio”. Nello specifico all’art. 16 si spiega il funzionamento del fondo:
I prestiti d'onore vengono concessi agli studenti in possesso dei requisiti di merito e di reddito da aziende e istituti di credito
1 Libro verde sulla scuola pubblica, p. 62







Vanno rimborsati a rate (senza interessi) dopo il completamento degli studi (o l'interruzione definitiva) e non prima di aver iniziato un'attività lavorativa
Dopo cinque anni (dalla fine degli studi) si è tenuti a rimborsare il prestito anche se non si ha iniziato un'attività lavorativa. Su questo periodo (quello successivo alla fine degli studi) c'è un tasso di interesse
Le regioni regolano la concessione dei prestiti d'onore e (nei limiti del bilancio) forniscono garanzie in più e pagano gli interessi
Per integrare le disponibilità finanziare delle regioni (per gli scopi di cui sopra) è istituito il fondo integrativo
La decisione di incrementare gli stanziamenti per le borse di studio e l'edilizia universitaria rimane inserita in una logica residuale, piuttosto che rientrare entro un piano generale di robusto finanziamento ed allargamento effettivo, a tutta la massa studentesca, degli strumenti che rendono effettivamente fruibile il Diritto allo studio. Inoltre, in merito a questo provvedimento si dovrebbe analizzare la manovra finanziaria e il ddl di bilancio del 2009 per capire quanto i tagli andranno ad influenzare il numero delle borse di studio e degli investimenti in nuovi alloggi, cioè si deve calcolare il valore al netto e non il singolo aumento previsto dal nuovo decreto legge. Non si può non sottolineare che, per far fronte a questi due interventi, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si assegna le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate o FAS istituito dalla legge 289/2002 che agli art 60 e 61 istituisce due Fondi intercomunicanti per le aree sottoutilizzate (per l’85 per cento nel Mezzogiorno) attivi presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze e presso il Ministero delle Attività Produttive. Per avere un'idea il fondo per le aree sottoutilizzate comprendeva per gli anni 2004-2007 4582 milioni di euro assegnati dal CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica).





Allegato1.
LEGGE 6 agosto 2008, n. 133
di conversione del decreto-legge 25 giugno 2008 , n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione dellafinanza pubblica e la perequazione tributaria”.
Università che succede?
d
Tagli FFO = previsione per i prossimi 5 anni di un taglio di circa 1,5 miliardi di euro nell’arco di tempo dal 2009 al 2013. Questo senza che diminuiscano i finanziamenti al sistema universitario privato.
Aumento delle tasse
Meno ricerca, più precariato
Offerta formativa ridotta
Perdita del carattere PUBBLICO dell’università
La ricerca piegata alle logiche del mercato isposizioni art 16 e art 66 i possibili effetti:
Blocco del turn-over = obbliga gli atenei a fissare il turn-over del corpo docente e del personale tecnico-amministrativo al 20% nel prossimo triennio e al 50% nel 2012.
Facoltà di trasformazione in fondazioni = si prevede la possibilità per gli atenei di potersi trasformare in Fondazioni di diritto privato. Il comma 6 rimette tutte le decisioni al Senato Accademico che, contestualmente alla delibera di trasformazione, adotta lo statuto e i regolamenti di amministrazione e di contabilità. Le fondazioni, "anche in deroga alle norme dell'ordinamento contabile dello Stato", hanno la completa gestione finanziaria





Allegato 2.
DECRETO-LEGGE 10 novembre 2008, n. 180
Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca. (GU n. 263 del 10-11-2008 )
Articolo 1
1. Il primo comma blocca procedure concorsuali, di valutazione comparativa e assunzione di personale, cioè bloccati concorsi, assunzioni di personale ricercatore e di personale docente, a quegli atenei che spendono più del 90% dei fondi statali per gli assegni fissi del personale di ruolo.
2. Le università di cui al comma 1 (cioè quelle che superano il 90% dei fondi in spese fisse e obbligatorie per il personale di ruolo) non potranno accedere al fondo per il reclutamento straordinario di ricercatori predisposti dalla finanziaria 2006 per gli anni 2008 e 2009.
3. Viene modificato l'articolo 66 della L. 133, ovvero quello sulle assunzioni. Il turn - over, invece che essere del 20% per il 2010 e il 2011 e del 50% per il 2012, diventa 50% per il triennio 2009-2011 e rimane del 50% per il 2012. Rimane il divieto di “procedere all'indizione di procedure concorsuali e di valutazione comparativa, ne' all'assunzione di personale” posto all’art 1, comma 1.
Inoltre si pone un vincolo di spesa, cioè il 60% della spesa per queste assunzioni deve essere per ricercatori (sia a tempo determinato che indeterminato).
4. Ridefinisce la composizione delle commissioni per il reclutamento dei professori.
Le commissioni saranno composte da 1 professore ordinario nominato dalla facoltà e 4 professori sorteggiati fra 15 professori esterni eletti.
Le modalità di sorteggio saranno stabilite da un decreto che dovrà uscire entro 30 giorni.
5. Questo si occupa delle commissioni per il reclutamento dei ricercatori, 1 professore ordinario o associato nominato dalla facoltà e 2 professori sorteggiati.
7. Il comma 7 stabilisce le modalità di valutazione per l'assunzione dei ricercatori, che dovrà essere fatta tenendo conto dei titoli, delle pubblicazioni e della tesi di dottorato secondo parametri internazionali che saranno stabiliti da un futuro decreto.
8. Stabilisce semplicemente la retroattività dei commi 4 e 5.
9. Modifica l'articolo 74 della 133 che prevede «la rideterminazione delle dotazioni organiche del personale non dirigenziale, apportando una riduzione non inferiore al dieci per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti di organico di tale personale», escludendo gli enti di ricerca.
Articolo 2
1. Quest'articolo ripartisce una quota non inferiore al 7% del FFO e del fondo straordinario «sulla base dei risultati dei processi formativi e delle attività di ricerca scientifica nonché della effettiva riduzione dei corsi di studio e del ridimensionamento delle sedi didattiche». Sia chiaro che il 7% non è aggiuntivo: i tagli rimangono tutti, si decide solo di distribuire parte dei fondi tagliati con criteri diversi.
2. Spiega semplicemente che le modalità di ripartizione di questi soldi saranno definite tramite decreto entro il 31 dicembre 2008.
Articolo 3
1. Vengono destinati 65 milioni nel 2009 per il finanziamento di progetti per la costruzione di alloggi e residenze per gli studenti.
2. Vengono destinati 135 milioni per il 2009 al fondo per la concessione di prestiti d'onore che può essere destinato anche alle erogazioni di borse di studio.
3. Questo comma definisce da dove vengono presi i soldi dei commi 1 e 2, ovvero da un fondo istituito nel 2002 per le aree sottoutilizzate (concentrate principalmente al sud)
Articolo 4
1. Stabilisce semplicemente che i soldi necessari alle spese dell'articolo 1 vengono presi aumentando i tagli della legge 133 (tranne che a istruzione e università).

1 commento:

Luca Tedesco ha detto...

Rapporti Ocse e moneta falsa
Ciò che Perotti omette nel suo pamphlet universitario

«Per molti versi la professione del critico è facile. Rischiamo molto poco pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative che sono uno spasso da scrivere e da leggere, ma la triste realtà cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero; ad esempio nello scoprire e difendere il nuovo. Il mondo è spesso avverso ai nuovi talenti e alle nuove creazioni. Al nuovo servono sostenitori». Così si esprime Anton Ego, il severo critico culinario francese, nel film Ratatouille di Brad Bird.
E il nuovo pensavo di aver scoperto anch'io, recensendo alcune settimane fa su un quotidiano nazionale l'ormai celebre pamphlet di Roberto Perotti L'università truccata, in cui veniva sostenuta una tesi certamente eterodossa, ovverosia che l'università italiana non soffrirebbe affatto di una carenza drammatica di risorse finanziarie, attestandosi nella spesa per l'istruzione terziaria alle spalle dei soli Usa, Svizzera e Svezia, tesi certamente notevole e che quindi ritenevo doveroso segnalare.
Da allora, però, ho seguito con attenzione crescente il certamen che sulla stampa nazionale hanno ingaggiato Perotti e Figà Talamanca, ordinario di Analisi matematica e studioso anch'esso del sistema universitario (certamen in verità iniziato prima del primo intervento e da me colpevolmente non conosciuto).
Ho potuto così constatare che se è vero, come sottolinea Perotti, che il dato che si riferisce all'Italia nella tavola (B1.1a) relativa alla spesa annuale per l'istruzione universitaria del rapporto Education at a Glance non distingue fra studenti a tempo pieno e quelli a tempo parziale, è altrettanto vero che ciò, cosa che Perotti omette, vale anche per Germania e Austria (come si evince dalla nota tecnica n. 3). Anche per questi ultimi due Paesi, quindi, la spesa indicata nel rapporto risulta sottostimata.
La tavola (B1.3b), relativa alla spesa per studente per la durata effettiva degli studi, conferma come l'Italia si attesti, per quanto riguarda l'Europa, alle spalle di Austria, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Svezia e Svizzera, anche se per il nostro Paese, l'Ungheria, la Polonia e la Svizzera i dati si riferiscono alle sole istituzioni pubbliche. La circostanza, poi, che alcuni Stati abbiano fornito i dati per quanto concerne la spesa annuale ma non quelli relativi alla spesa cumulativa effettiva fa sorgere il dubbio che per essi studenti a tempo parziale e studenti fuori corso non coincidano, complicando così il quadro e rendendo la comparazione non poco rischiosa.
Il luccichio del nuovo, insomma, copre talvolta anche la moneta falsa.

Luca Tedesco